Ali Pi CHARLES ALBERT 3 Patria, Guerra e Caserma Ént 10 ) CM. 15 BORGNA Rivista // Pensare Casella poetale 179 :; ^ ^0 ; ;^%^t^^ "iì Mm fm PICCOLA BIBLIOTECA SOCIOLOGICA N. 16 CHARI.KS AI.BKRT \ PATRIA, CUERRA E CASERTA Cent. IO BOLOGNA RIVISTA IL PENSIERO Casella postale 179 1910 Questo opuscolo è pubblicato a cura del periodico anarchico V Agitatore di Bologna, e si vende esclusivamente a suo beneficio. Bologna 1810 Tip. Artistica Commerciale T T T!T T ? Lettera ad un proletario Non meravigliarti, mio buon Giacomo, se ho tardato tanto a rispondere alla tua ultima lettera. Patriottismo, guerra, esercito, ecco tante questioni in una volta sola, e questioni importanti. Tuttavia tu hai fatto bene ad espormele in- sieme, perchè non si può trattare dell' una senza accennare all' altra. Col patriottismo, infatti, si giustifica la guerra, e colla guerra si giustifica la caserma. Se vogliamo venirne a capo, cominciamo dun- que dal principio. Patria, patriottismo. Non ci sono parole che, più di queste, s^ano state servite in tutte le salse e storpiate per far loro dire ciò che non dicono. Nessun'altra parola, più di queste, si è prestata a maggiori equi- voci e menzogne. Sj non* vogliamo fare il giuoco di tutti coloro - e s^n tanti - i quali hanno in- teresse a perpetuare questi equivoci e queste men- zogne, bisogna dunque, prima di tutto, determi- nare con cura il vero significato di queste parole. — Che cosa è il patriottismo ? — Tutti rispon lotto: E' l'amor di patria. — Che cos' è la patria ? Tutti quanti rispondono ancora: E' il paese dove siamo nati, dove viviamo, dove partecipiamo alla vita comune. Fin qui nessuna difficoltà. Perchè non dovremmo amar noi il nostro paese? Non ci sentiamo forse avvinti con mille legami all'angolo di terra in cui siamo nati, dove ab- biamo vissuto, sofferto e goduto, dove abbiamo i nostri parenti ed amici? Come non avere il culto degli uomini di genio che hanno reso il- lustre la nostra razza? Come non esser superbi della parte che spetta al nostro paese nell'insieme del progresso umano? Ma dire che si ama il proprio paese non si- gnifica gran che. L' amore è un sentimento del tutto platonico che non impegna nulla. Cosicché, la grande questione è quella di sapere non già se il sentimento è legittimo, buono o cattivo, ma in qual modo debba manifestarsi ; — non già se bisogna amare il proprio paese, perchè tutti in questo senso son patriotti, ma in qual modo lo si debba amare. 0, meglio, come dicono i no- stri professori di patriottismo, come bisogna ser- virlo. Per saper ciò, domandiamoci dapprima che cosa è il nostro paese. La Francia è il nostro paese. Benissimo. Ma che cosa è la Francia? (1). E' forse una parola in cima a una carta uffi- ciale? E' forse un governo, un'amministrazione, cioè alcune persone inutili che assumono un at- (i) 1' autore è un francese e quindi parla della Francia, ma le stesse considerazioni valgono per 1' Italia come per qual- siasi altro paese. iV. d. T. — ò — teggiamento di comando per sfruttare il lavoro altrui? E' forse una successione di re, d'impe- ratori, di generali? E' forse una distesa di terri- torio, i tali fiumi e le tali montagne, le tali pia- nure e le tali città ? Tanto per noi, francesi, quanto per un inglese o per un tedesco, non è tutto ciò che costituisce il nostro paese. Non esiste nulla, finché non vi sono uomini aggruppati allo scopo di produrre e di consumare ciò che è necessasio per la vita. Il nostro paese non può essere che opera della vita comune e solidale. Per conseguenza, il pa- triottismo vero, il solo utile e attivo, consiste nel fare del proprio meglio, ciascuno secondo i proprii mezzi, per mantenere la vita comune, per migliorare le condizioni dell'esistenza in seno ad ogni nazione. I soli i quali abbiano il diritto di dire che amano il loro paese, perchè ne danno prova, sono coloro che producono. Sono anche coloro che vogliono per il loro paese — o, meglio, per quei che lo abitano — il maggiore benessere, la maggiore giustizia, la più alta coltura intellet- tuale e morale possibile. Il contadino che lavora la terra, l'operaio che fabbrica, 1' inventore che trova nuovi sistemi di coltivazione o di fabbri- cazione, lo scienziato che colle sue scoperte pre- para quelle dell' inventare , l'artista che crea la bellezza, cioè la gioia per tutti , il rivoluzionario che colla sua energia trascina la folla timida alla conquista di maggiore giustizia sociale — son questi i soli patriotti. Tutti costoro pagano ogni giorno il loro debito verso il loro paese. — 6 — Nulla perciò essi gli debbono di più, e nessuno ha nulla da domandar loro. Ma i nostri buoni governanti non capisco- no ciò. Il patriottismo ufficiale, quello che si insegna alla scuola, è una religione e. come tutte le re- ligioni, è insieme una menzogna e un mezzo per asservire. Quando i borghesi, i nostri ^padroni attuali, si impa ironirono del potere, più di un secolo fa, sapevano benissimo che la religione, cioè il fa- natismo, è un mezzo eccellente per governare gli uomini. Così sì affrettarono a sostituire il fana- tismo per dio, ch'essi stessi avevano press'a poco distrutto, col fanatismo per la patria. Quando siamo ancora piccini, già ci s' inculca con pre- mura l' amor della patria. Ma si ha cura che questa parola non corrisponda a nulla di preciso, e sia per noi qualche cosa d' indeterminato e di vago. E' l' idolo terribile e misterioso al quale ci si ordina di tutto sacrificare, senza che pos- siamo capirne il perchè. Servendosi di tirate infuocate, ci rendono schiavi di una prola, di una parola vuota di senso. Si potrà dopo far dire a questa parola tutto ciò che si vorrà, e nascondere dietro di essa tutto ciò che vi sarà bisogno di nascondervi. Basterà pro- nunciarla, per trascinarci a tutte le avventure, per farci assolvere tutti i delitti. Ed è appunto ciò che è accaduto. Per mezzo della parola « patria » ci *i scher- nisce e ci si sfrutta, ci si opprime e ci si ab- brutisce, ci si maltratta e ci si affama, di padre in figlio, da più di un secolo. Non e' è infamia, crudeltà o affare losco, non e' è programma bu- giardo o istituzione oppressiva che non abbia avuto o che non abbia per divisa questa pa- rola. E' per la patria che veniamo rinchiusi per anni ed anni in una vera prigione — la caserma — quando non ci si fa crepare d' insolazione su un campo di manovre o mitragliar a su un campo di battaglia. E' per la patria che siamo schiac- ciati dalle imposte, è par la patria che tutti i bricconi avidi del nostro denaro pretendono di estorcercelo. Per la patria siamo curvati durante dodici o quattordici ore sotto un lavoro da be- stie in ricambio d'una mercede irrisoria. Non è forse col pretesto che i prodotti nazionali trion- fino sui mercati internazionali che, gli operai na- zionali devono crepar di fame lavorando? Ciò che, del resto-, non impedisce ai nostri buoni pa- droni di dar lavoro a degli stranieri, quando questi si vendono un a miglior prezzo di noi, né di mettere in opera di preferenza le materie ed i prodotti stranieri allorché vi trovano il loro tornaconto. Quando i ricchi vogliono dimostrarci che noi dobbiamo eternamente rimaner poveri, quando i forti vogliono persuaderci che dobbiamo rasse- gnarci a rimaner deboli, li sentite sempre invo- care V interese della pat'ha. Non è questa forse la parola più in mostra sui manifesti in cui i candidati ci promettono le stesse riforme che già i loro padri promettevano ai nostri padri, e i loro nonni ai nostri nonni? Non è dessa la pa- rola che risuona in tutte le chiacchierate, nelle quali si ha la cortesia di spiegarci come e per- — 8 — che noi altri proletarii, siamo gli eterni vinti , gli eterni sacrificati ? Ed ahimè! sinora questa parola ha avuto sem- pre ragione del nostro buon senso, della nostra, onestà. Essa trionfò e trionfa come per incanto delle nostre ripugnanze e dei nostri scrupoli. Se qualcuno viene a noi in nome della libertà, della giustizia, in nome dei nostri interessi immediati e dei nostri bisogni urgenti, noi conserviamo contro di lui un fondo di diffidenza. E invece • seguiamo in capo al mondo, senza bisogno di alcuna spiegazione, il primo avventuriere che capiti, purché sappia abilmente servirsi della magica parola. Non tentò recentemente ancora una banda di furfanti di provarci con questa parola che era cosa onesta di mantenere un innocente al bagno, cosa coraggiosa il mettersi in venti contro un passante, e cosa eroica il fabbricare documenti falsi ? (1). Ecco abbastanza menzogne, assurdità ed equi- voci. Ma è tempo di finirla con tale sinistra com- media. Finche questa religione imbecille della patria continuerà ad imporsi a noi, cioè finché non a- vremo veduto chiaramente nel giuoco dei suoi preti, noi saremo sempre schiavi. La patria siamo noi stessi, oppure essa non è niente affatto. Ora, nessuno può, meglio di noi stessi, sapere ciò che ci abbisogna. (i) Si allude all' offare Dreyfus, dopo il quale fu scritto il presente opuscolo. N. d. T. — 9 — IL Cosa infinitamente curiosa ! Non e' è delitto che non ci si costringa a commettere contro la nostra patria in nome del patriottismo! Senza parlar dalla guerra, della strage immane che abbatte al suolo migliaia di produttori, senza parlare della battaglia a cannonate, — ciò che si chiama la pace armata, cioè la guerra a colpi di miliardi, non è dessa per ogni paese una causa sempre operante di distruzione e di miseria? Quante ricchezze ingoiano ogni anno i bilanci della guerra! A che cosa servono quei fucili, quelle baionette, quei cannoni, quei vascelli, que- gli strumenti di morte che periodicamente pas- sano di moda e vengono gettati ai rifiuti? Che cosa producono i soldati in cambio del loro nu- trimento e dei loro vestiti? A quanti milioni salgono, in una parola, le spese di ogni specie del militarismo? Il conto è facile. Nel 1899, il bilancio della guerra saliva in Francia a 1 miliardo, 116 mi- lioni, 705,673 franchi, con un contingente di 627,450 uomini e 122,373 cavalli. Se tu calcoli soltanto a 3 franchi la giornata di un uomo e a 2 franchi quella di un cavallo, tu troverai, in lavoro perduto, una somma di 2 milioni e 127,099 franchi. Moltiplica ora questa cifra per 300, numero .vie d io delle giornate di lavoro in un anno, e'" otterrai 63 S milioni e 129,700 franchi. Cioè per spese totali della guerra, durante un anno, 1 miliardo, 754 milioni, 835 ; 373 di franchi . Procura ora di renderti conto di ciò che una — 10 — simile somma rappresenta in progresso industriale e sociale, in educazione, in istruzione ed igiene, quanto è a dire in felicità e benessere! Ma c'è un conto che non si farà mai, perchè si tratta di cose che non si valutano in cifre. Ed è quello delle ricchezze intellettuali e morali che l'esercito sciupa ogni giorno insieme col no- stro denaro. Lucidare tutti i giorni lo stesso pezzo di cuoio, lo stesso bottone e lo stesso pezzo di fucile; ri- petere cinquanta volte di seguito, e senza sapere perchè, lo stesso movimento ; imparare a cammi- nare e a salutare come se non lo si sapesse già fare, a girare e a voltarsi, ad alzare il braccio o la gamba; ricordarsi se si deve abbottonare la tunica a destra o a sinistra; piegare una cra- vatta e affibbiare una cinghia in una data ma- niera e non mai in un'altra, ecco in che modo si svolge la vita del soldato. Ora, non si fa per tre anni di seguito tale mestiere di cane ammae- strato e d' imbecille, senza conservarne l' im- pronta. E non sarebbe ancora nulla, se la caserma non facesse ìi ciascuno di noi una macchina da ob- bedire, come ne fa una macchina da lucidare e da camminare al passo. Ogni coscritto lascia sulla soglia della caserma il suo cervello e la sua volontà, ogni dignità ed ogni iniziativa. Tutto ciò al reggimene vien sostituito da una sola parola: obbedire. Obbedire agli ordini più stupidi, più contradittorii. più immorali, più gros- solani. Obbedire senza un mormorio, senza uno sguardo, senza un gesto, sotto la minaccia di un codice che punisce colla morte la menoma vel- — 11 — leità d' indipendenza. Obbedire e aver paura, per- chè anche obbedendo non si è mai sicuri di ca- varsela. Non dice un proverbio di caserma che il migliore soldato può essere sempre oolto in fallo? La viltà morale, l'abitudine di sottomettersi e di tremare, ecco ciò che s' impara alla caserma. Vi si acquista pure la forza brutale, la reli- gione della violenza. I militari di professione, gii ufficiali ai quali veniamo adffiati corpo ed anima, durante tre anni, in* un'età in cui siamo ancora quasi fanciulli, e perciò subiamo facil- mente le influenze altrui — gli ufficiali formano nella nazione una casta a parte, una casta di bruti. Il migliore ufficiale il militare compito è colui che in ogni circostanza si mostra il bruto per- fetto. Che cosa possono essere, infatti, l' intelli- genza e il carattere di uomini i quali, durante tutta la loro vita, maneggiano, invece di uno strumento di produzione, l'arme che uccide? di uomini i quali hanno abdicato la loro volontà per sempre dinnanzi al capriccio dei più gallo- nati? Come, in ogni cosa, non opporranno que- sti esseri la violenza alla ragione? Di fronte alla intelligenza e alla pacifica energia che si sfor- zino ad edificar l'avvenire, i tras sinatori di scia- bola rappresentano dunque la bestialità e la vio- lenza delle epoche remote. L'esercito è fra noi come un santuario, in cui la forza brutale viene mantenuta accuratamente, idealizzata e impen- nacchiata, indorata e gallonata, per ostacolare l'opera civilizzatrice, per opporsi al progresso. H dalla caserma simili abitudini si comunicano per contagio a tutto quanto il corpo sociale. Gli anni — 12 — di servizio sono, per ogni cittadino, un noviziato di brutalità e di bassezza. Ma non è tutto. Sottratto all' influenza benefica del lavoro pro- duttivo, strappato bruscamente al suo ambiente 7 all'affezione dei suoi parenti ed amici, . gettato d 7 un tratto nelle condizioni di vita più depri- menti, non avendo a sua disposizione alcuna di- strazione onesta, sottomesso ad un regime contro natuia che ha della prigione e del convento, con appena alcune ore libere, il soldato si lascia an- dar presto alle più sudicie abitudini, agli stra- vizii, come ne fanno fede abbastanza i bordelli che in ogni città circondano le caserme. Quanti ritornano dal reggimento infradiciati da malattie vergognose, dediti all' ozio e alla ubbriachezza ! Ed è per ottener questo bel risultato che ogni anno un medico sceglie minuziosamente gli uo- mini più forti, più sani, più robusti della na- zione; quelli che si chiamano le speranze della patria ! Ah, come son grandi patriotti i nostri gover- nanti ! Come amano il loro paese questi uomini che, sotto pretesto di difenderlo — quando nes- suno pensa di attaccarlo — lo consegnano ogni giorno a nemici cento volte più pericolosi della straniero, e lo sottomettono a condizioni assai più dare di quelle che potrebbero infliggergli i più implacabili conquistatori! E sono questi as- sassini della loro patria, che ogni anno la impo- veriscono e la corrompono sempre più, che ci ven- gono a far la morale in nome del patriottismo ! Dovrai confessare che poche cose son così ri- dicole come questa. — 13 — III. Dalla guerra e dalla sua preparazione, dal mi- litarismo e dai suoi armamenti, da tutto ciò che i nostri politicanti chiamano la difesa nazionale, una nazione non può dunque attendere che rovina e miseria. E ciò dovrebbe bastare perchè tutti gli uomini di cuore, nel mondo intero, si ribel- lassero contro lo stato di pace armata. Ma, in ogni nazione, havvi una classe che più di tutte sopporta le conseguenze del patriottismo di caserma. E questa classe è la nostra, la classe dei lavoratori, dei proletari. In attesa di servire per la guerra contro lo straniero, il soldato, infatti, serve anche e sopra- tutto alla guerra civile. Governanti e padroni, tu lo sai. non indietreggiano mai dinanzi all' uso della forza, quando temono per il loro potere e per il loro denaro. La nostra storia, come del resto quella di tutti i paesi, offre sufficienti epi- sodi luttuosi a conferma di questa verità. Non appena i figli del popolo reclamano un po' pi li- di benessere, è a fucilate che si risponde loro. c Senza parlare delle grandi ecatombi — come quelle del 1830, 1848 " "e 1871 — in cui i prole- tari caddero a migliaia sotto le palle dei difen- sori dell' ordine , non passa un anno senza che avvenga, qua e là, qualche massacro d ? operai. „ Ogni volta che i lavoratori tentano di ottenere, scioperando, qualche magro miglioramento alle loro condizioni, è con la truppa che hanno da' fare i conti. Ad ogni passo, lo scioperante si urta col soldato. Se vuole organizzare la resistenza collettiva contro le sopraffazioni padronali, sono i soldati — 14 — che glielo impediscono, montando la guardia at- torno alle officine e ai cantieri. I padroni, invece, son liberi di concertare, ad ogni ora del giorno o della notte, qualunque provvedimento che a loro piaccia. Sono ancora i soldati che, per intimorire i lavo- ratori, percorrono le vie e caricano brutalmente la folla, la quale, gettata sul lastrico dall' ingorda già padronale, pensa con ragione che il suo po- sto è sulla strada. E non è soltanto coi fucili che V esercito viene in aiuto al capitale, assicurandogli la vittoria sul lavoro. Ogni volta che uno sciopero minaccia di turbare qualche servizio pubblico, come le fer- rovie, le tramvie, la navigazione, le poste ecc. oppure di ostacolare la produzione di oggetti di prima necessità, ome il pane, ogni volta, cioè, che i lavoratori hanno qualche probabilità di vincere nella lotta per la vita, ecco i soldati che vengono ad occupare il posto degli scioperanti. Il soldato, comandato in servizio di sciopero, non è soltanto il poliziotto incaricato di assicurare V ordine e di proteggere la libertà di lavoro, — secon lo le formule ipocrite dalle quali tanti in- genui si lasciano, purtroppo, ancora mistificare — ma è F operaio diventato, a causa dell' uniforme, schiavo dello Stato, e messo dallo Stato al ser- vizio dei capitalisti. Egli rappresenta di fronte allo scioperante la stessa parte del krumiro il quale, durante uno sciopero, toglie il padrone d' imbarazzo e rende perciò inutile la resistenza dei suoi compagni. Questa è la più importante funzione dell' eser- cito nelle società moderne: quella di polizia per — 15 — massacrare, se occorre, i lavoratori, e quella di riserva di braccia per affamarli. Per noi altri proletari, 1' esercito non è dun- que soltanto, come per tutti i cittadini, un' isti- tuzione degradante e costosa. E' il nostro nemico diretto, perchè è la forza brutale messa a servi- zio dei nostri padroni contro di noi. E' un' isti- tuzione per mezzo della quale i nostri sfruttatori riescono a far difendere dagli sfruttati stessi i loro privilegi. Dimmi ora, se spetta al lavoratore schiavo, al lavoratore sfruttato, al lavoratore che crepa di fame, gridare : Viva 1' esercito ! Non siamo forse stupidi quando lanciamo questo grido, ed hanno forse torto i nostri padroni di non prenderci sul serio finché diamo loro spettacolo di tanta be- stialità ? Non dimenticarlo, Giacomo, noi siamo prima di tutto proletari, cioè coloro che sopportano oggi tutto il peso, tutta l' infamia della società. E 1' esercito è anzi tutto il sostegno di questa so- cietà. Molti reggimenti, molti cannoni e molte baio- nette da allineare contro di noi il giorno in cui osiamo reclamare la nostra parte di ricchezze sociali, ecco a dove approdano le grandi tirate sulla Patria, le frasi rimbombanti sulla bandiera. Quando noi diamo spettacolo di un patriottismo imbecille, non facciamo dunque che giustificare e consolidare tra le mani degli sfruttatori e dei governanti questa forza destinata a mantenerci schiavi. Che i borghesi si sdilinquiscano nel veder sfi- lare il reggimento, bandiera e musica in testa, — 16 — che si commuovano della buona tenuta e dell' marziale dei soldati: niente di più giusto; giaco: questi bravi giovanotti vanno a far la guarcna alle porte delle banche, delle officine, dei cantieri, dei ministeri. Son essi la sicurezza delle casse- forti, la garanzia dei privilegi. Perchè non do- vrebbero levarsi il cappello al loro passaggio co- loro che possiedono le casse-forti e detengono i privilegi ? Ma noi altri, noi che veniamo mitragliati nelle strade per un sì o per un no ! Per noi il reggi- mento che passa non può essere che il servaggio. Il servaggio e la vergogna, imperocché dal mo- mento che indossa la livrea del soldato. V uomo del popolo tradisce, suo malgrado, i propri com- pagni. Il proletario -soldato è 1' uomo del popolo ammaestrato per la difesa dei ricchi e dei potenti, equipaggiato e armato contro i suoi fratelli. Un giorno — forse tu ti ricordi di averlo letto nei giornali — 1' imperatore Guglie ino passando a rivista le truppe, tenne loro il seguente di- scorso : « A causa delle attuali agitazioni socia- liste, potrebbe accadere che io vi ordinassi di ti* rare sui vostri parenti stessi, sui vostri fratelli, persino sui vostri padri e sulle vostre madri, ed in tal caso voi dovreste obbedire ai miei ordini senza esitare. » L' imperatore di Germania non fece che ripe- tere ciò che si trova scritto sul libretto di ogni soldato in ogni paese, ciò che sarà scritto sul tuo libretto il giorno che te ne consegneranno uno. Qualunque sergente può comanlarci il medesimo delitto. E se coloro, contro i quali ci si ordina di scaricare le armi senza esitare, non son seni- .__ 17 _ pre nostri fratelli per sangue, non scordarlo, o Giacoma, sono pur" tuttavia nostri fratelli, no- stri fratelli di miseria, nostri fratelli di lavoro, nostri fratelli di classe. IV. Di tanto in tanto i nostri padroni ci dicono : Abbiate pazienza; aspettate che noi stessi ci spaino sbarazzati della guerra; dopo libereremo voi dalla caserma. E i nostri padroni, infatti, hanno 1' aria di voler la pace. Fra loro scambiano messaggi di pace. Non pronunciano un discorso senza fare 1' apologia della pace. E nulla è più commovente. Ma qual' è il paese che sottrae un centesimo al suo bilancio della guerra, un soldato ai suoi reggimenti, un cannone alle sue artiglierie*, una nave alla sua flotta ? Sai tu quel che accadeva in liussia dal mese di settembre 1898 alla fine di gennaio 18U9, cioè nel momento stesso in cui lo czar lanciava il suo famoso messaggio per la pace e convocava al- l' Aja la famosa conferenza per la pace ? Non lo sai ? Ebbene ecco : Il 20 settembre 181)8, ordine di aumentare e di fortificare la fiotta del mar Caspio. — Il 15 novembre, decisione di far costruire due nuove corazzate. — Il 14 dicembre, ordine di costruire dieci controtorpediniere. — 11 *20 dicembre, i.)0 milioni di rubli sono impiegati per i 7 esercito e 16 milioni per la marina. — Finalmente, il 1 ( J gennaio 18H!>, decisione di costruire tre corazzate, tre incrociatori e tre torpediniere. Per della gente che pensa solo alla pace, cujj dei bei preparativi di guerra. E dappertutto e la stessa cosa. Dappertutto le — 18 — spese di guerra aumentano ogni anno di parecchi milioni e i contingenti militari si rafforzano di nuove migliaia di uomini. Dieci anni fa. 1' Europa sciupava in armamenti di ogni specie 5 miliaidi e 175 milioni. Oggi sciupa 7 miliardi e 1^5 milioni. Dieci anni fa, essa manteneva sul piede di guerra 3 milioni e ot- tooentomila uomini ; oggi ne mantiene 4 milioni e duecentomila. E non un governo che non sia disposto a sca- tenare la guerra per il più futile pretesto; non un governo che non s a pronto a inventare, al- l' occorrenza, qualche pretesto e a mentire nel modo più odioso, pur di ottenere del popolo i mezzi per fare la guerra. Ne è testimone, senza cercar più lontano, quella spedizione di Cina, in cui i soldati europei mas- sacrarono dei poveri diavoli quasi senza difesa. Se- condo i dispacci ufficiali, tutto era stato messo colà a ferro e a fuoco. Non v' era più sicurezza per alcuno, e gli europei residenti nel paese erano già per tre quarti distrutti. 1 Cinesi — i quali, sia detto di sfuggita, h&nno orrore della guerra — erano diventati d' un tratto dei militari di prim' ordine e specialmente, raccontavano i gior- nali, dei tiratori di prima forza. Tutto ciò non era che un romanzo inventato da cima a fondo, romanzo smentito non appena giunsero dalla Cina delle notizie non ufficiali. Un solo europeo, infatti, l'ambasciatore tedesco, aveva pagato colla vita lo sporco mestiere che eserci- tava colà. Quanto ai terribili cinesi, bastò sempre un pugno d' uomini per metterne in fuga delle migliaia. Questi terribili tiratori mirano alzando — 19 - la loro arma con ambe le mani al disopra del capo. E' questo un particolare che si riscontrò in quasi tutte le lettere ricevute dal princ'pio della campagna, e che è per se stesso abbastanza elo- quente. Vedi, dunque, di quali menzogne siano capaci gli amici della pace per scatenare la guerra. E se si trattasse d' un vasto conflitto, di una grande guerra europea, le cose non accadrebbero diver- simente. Il solo mezzo per rendere impossibile questa guerra europea di cui tutti parlano, di cui tutti hanno paura, senza che nessuno faccia nulla per evitarla, sarebbe che una grande nazione disar- masse spontaneamente. Ma ecco appunto ciò di cui ne-sun governo vuol sapere. Tutti, per giustificarsi, fanno mostra di credere che il pò* polo il quale disarmasse per il primo, sarebbe immediatamente preda dei suoi vicini. Ecco degli uomini che hanno continuamente sul labbro la parola di pace, che non aprono mai bocca senza affermare che tutti i loro sforzi mirano a man- tener la pace, e che nondimeno si confessano in- capaci di vedere una nazione disarmata senza piombare immediatamente su di essa! Bisogna che ci credano proprio stupidi; per osar di darci ad intendere simili sciocchezze ! Ogxii nazione vuole la pace, s'intende. Ma prima di fare un passo verso la pace, ogni nazione a- spetta che la sua vicina cominci. Di questo passo, e' è da aspettare un bel pezzo, se noi saremo ab- bastanza ingenui per aspettare, a nostra volta, che i nostri padroni comincino Perchè essi non cominceranno mai. I governi — 20 — non proclameranno mai la pace. E la ragione è semplice. Mentre i popoli muoiono della guerra a base di armamenti come della guerra a colpi di cannone, i governanti, loro, ne vivono. Ne vivono in parecchi modi. E' per mezzo della guerra che i banchieri e gli speculatori d' ogni specie, grandi industriali e signorotti della finanza, si arricchiscono. Non occorrono forse loro incessantemente nuovi sboc- chi pei loro prodotti e terre vergini per le loro speculazioni, cioè nuove colonie? E per conse- guenza, nuove guerre, sia per conquistare queste colonie, sia per far rispettare, come attualmente in Cina, la vita e i beni dei banditi che le sfrut- tano. E basterebbe un disaccordo tra due nazioni, che si contendono il terreno commerciale in uno stesso paese d ? oltre mare, per dare origine a una guerra europea. Non è forse col fabbricare conserve avariate per i soldati del loro paese ed eccellenti cannoni ecl eccellenti bastimenti per lo straniero, che i nostri grandi patriotti accumulano rendite? Ora, questa gente, padrona dell'oro, è dappertutto -pa- drona del potere, padrona dei troni, dei ministeri, dei parlamenti. Iiimane, è vero, tra le quinte ; ma è dessa che d°cide dei nostri destini e regola i macelli in cui noi troveremo la morte. E' riessa che regge i fili della commedia in cui, noi altri, veniamo sempre derisi e bastonati. E' anche a causa della guerra che si mantiene vivace il sentimento nazionalista. E ai gover- nanti preme che questo sentimento non si affie- volisca. Non e' è infatti potere forte senza anta- gonismo fra le nazioni. Così, perchè i popoli ri- — 21 — mangano bene aggruppali intorno ai briganti che li sfruttano e ben docili, vengono talvolta scagliati gli uni contro gli altri o, per lo meno, vengono attizzati i loro odii e i loro rancori col- T idea della guerra. Che farebbero, del resto, i nostri padroni il giorno in cui non potessero più nascondere le loro concussioni e i loro abusi di potere dietro i pretesi interessi della difesa nazionale ì Che fa- rebbero il giorno in cui, costretti a rispondere dei loro misfatti, non potessero più dire, dalla tribuna parlamentare o da altrove, che V onore della bandiera era impegnato ? Ma la guerra serve specialmente a giustificare T esistenza dell' esercito e la funzione eh' esso compie nei conflitti di classe. Le necessità della difesa nazionale servono a mascherare i bisogni della difesi* capitalista, e le nobili gesta sul cam- po d y onore a coprire le vergognose imprese negli scioperi e nei tumulti. Imperocché si ha un bel- T essere cinici, non si può mica confessare che l'esercito sia un vasto corpo di polizia adibito a mantenere il popolo sotto il giogo del ricco e il lavoratore sotto il giogo "dell' ozioso. Vi è anche una questione di prestigio. Pen- nacchi, sciabole e galloni, fanfare e bandiere s' impongono all' ammirazione delle folle ingenue. Che scintilli al soie o s' infilzi nella pelle degli affamati, la spala serve sempre il potere. I so- vrani si vestono ordinariamente da generali, e la loro grande occupazione è quella di passare le truppe in rivista. Non osano mostrarsi vestiti come tutti gli altri, e il più piccolo loro sposta- ménto si effettua tra un' agitazione guerresca. — 22 — Ed ecco chi sono quei che ci promettono di disarmare. Ma via ! Quando i nostri padroni ri- nunceranno all' imposta del sangue, sarà perchè vi saranno costretti. La pace tra gli uomini non sarà opera dei congressi di diplomatici, ma sarà l'opera dei popoli. E perchè i popoli possano realizzarla, bisogna che comincino col ribellarsi ai loro padroni. I governanti, invece, continue- ranno ad essere fautori di discordia e di conflitto tra le nazioni, perchè hanno tutto da guadagnare da tali discordie e conflitti. Essi faranno la guerra o, meglio, la faranno fare a noi per loro conto, fintantoché noi forniremo loro degli eserciti docili. Ecco perchè è assurdo il dire, come spesso si fa, che non si può fare a meno di cambini e di fucili finché vi sono i rischi della guerra. Se non si dovesse combattere il militarismo fintanto che una guerra fosse possibile, siccome appunto la guerra sarà possibile e anche probabile finché vi saranno gli eserciti, noi non vedremmo mai né la fine delle guerre, né la fine degli eserciti. E' appunto questo che i nostri padroni vor- rebbero, ed ecco perchè ci abituano con cura a questo ragionamento stupido. Ogni nazione — o, meglio, ogni governo — giustifica l'esercito colla necessità di difendersi. Ciò che non impedisce a nessun governo di servirsi invece di questa arma di difesa per 1' attacco. E vi sono delle persone che si lasciano rin- chiudere in questo miserabile circolo vizioso. Vi sono dei poveri ingenui che ostentano insieme T odio contro la guerra e il rispetto per 1' eser- cito. Ma Cj.e altra cosa è 1' esercito, se non la guerra, e il rispetto per l'esercito, se non la guerra — 23 — che si prepara ? Si vuole strappare ai padroni del mondo il diritto di compiere a loro piacere le stragi e le sciagure, e si lasciano loro i mezzi per farlo ! Non si vogliono più massacri, e si conserta la casta pericolosa che li studia a li perfeziona ! Finche saremo bestie fino a questo punto, siine certo, vedremo gì' imperatori, i ministri e i fi- nanzieri — nati per trar profitto dalla guerra — convocare per derisione i congressi della pace. Non bisogna mai scordare che, in fin dei conti, la guerra e F esercito si sostengono a vicenda e si confondono insieme. E dunque impossibile il com- battere- F uno dei due senza combatterli entrambi. Abbasso F esercito, abbasso la guerra ! Ecco il doppio grido di coloro che vogliono finirla con questa uplice barbarie. Abbasso F esercito, perchè F esercito, per se stesso, anche quando resta in caserma, è una cosa ignobile, una cosa da distruggere. Ma abbasso F esercito anche perchè F esercito serve a fare la guerra. E così ugualmente : Abbasso la guerra, perchè la guerra, per se stessa, anche quando viene fatta da volontari, è una cosa ignobile, una cosa da distruggere. Ma abbasso la guerra, anche perchè la guerra serve a giustificare F esercito. V. I pregiud zi hanno la vita dura. Si ha un bel dire, un bel provare che la guerra e il milita- rismo son due flagelli che si generano F un F al- tro e debbono essere combattuti contemporanea- mente; si trovano sempre dei minchioni che vi — 24 — parlano di epurare, eli riorganizzare l' esercito, invece di distruggerlo. E' a questo punto che si ferma ancora una quantità di gente che si crede avanzatissima. An- che noi, dicono tanti socialisti in buona fe/ìe, ab- borriamo la caserma e la guerra. Ma noi vogliamo poterci difendere, in caso che ci si attaccasse. Ora, se vogliamo difonderci, bisogna pure organizzare la nostra difesa. Sotto un 7 apparenza di buon senso, nulla è più stupido di ciò. Quando si dice: " Noi vogliamo difenderci,,, di chi si parla? Di noi? Noi, i lavoratori, i proletari!? E contro chi difenderci? Contro dei proletarii come noi, contro i lavora- tori di Germania, d'Italia, d'Inghilterra? Ma uno non si difende che contro i proprii nemici. Ora, questi non sono nostri nemici. Non hanno " essi gli stessi interessi di noi, gli stessi bisogni, le stesse sofferenze, le stesse gioie? Non siamo noi cento volte più affini a un falegname o ad un tessitore di ] Berlino che non ad un banchiere o ad un commerciante eli Parigi? No, Giacomo, quando anche dei soldati stra- nieri marciassero contro di noi, non sarebbero essi i nostri nemici. I nostri nemici sarebbero i governanti e i capitalisti i quali avrebbero messo in moto quei soldati. Sarebbero nostri nemici gli ufficiali che ci conducessero alla battaglia per conto dei caporioni della politica e della fi- nanza. E se avessimo un po' di buon senso e di coraggio, sarebbe contro costoro che noi dovrem- mo muovere in guerra. Quando noi altri parliamo di organizzare la difesa nazionale, non facciamo — 25 — che solidarizzarci anticipatamente coi nostri ne- mici contro i nostri amici. Non ci son mica, come credono certuni, due specie di guerre, le une legittime, nelle quali ci si difende, le altre ingiuste, in cui si attacca. Tutte le guerre si rassomigliano e si tratta sem- pre di attentati concertati tra due governi con- tro due popoli. Ogni governo pretende non agire che per la propria difesa. Ma bisognerebbe prima sapere, quando scoppia la guerra, chi è che si difende, e chi è che attacca. Ed ecco appunto ciò che è impossibile sapere. Ti sembra forse strano ? Nondimeno vedrai che nulla è più esatto di questa affermazione. In apparen a noi ci siamo difesi, nel '70, contro i tedeschi : è una cosa che s' insegna nelle scuole e che si ripete un po' dappertutto. Ma non si può dire altrettanto esattamente che i tedeschi si difendevano contro di noi? L'ultima e terribile guerra fu voluta, infatti, con uguale accanimento, tanto dal governo di Francia quanto da quello di Germania, perchè una guerra in quel momento favoriva la politica di entrambi. Così il primo pretesto fu buono. Fu, tu lo sai, la candidatura di un parente del re di Prussia al trono di Spa- gna che determinò la guerra. Ma avrebbe potuto essere non importa quale altro. La vera causa della guerra fu che i due governi avevano biso- gno, o credevano aver bisogno, nello stesso tempo, di una guerra. Per rendere irreparabile la rot- tura fra i due paesi, Bismarck giunse sino al punto di falsificare un dispaccio, il famoso tele- gramma di Ems. Il brigante prussiano sarebbe — 26 — stato dunque molto seccato se le cose si fossero accomodate. Ma il brigante francese, da parte sua, e specialmente i suoi cortigiani, non ave- vano fatto tutto il loro possibile per invelenire un incidente che una parola di conciliazione a- vrebbe potuto appianare? Che ci si vien dunque a parlare, dopo questo, di attacco o di difesa? Che cosa ciò significa? Quando le cose accadono come sono accadute nel 1870 — ed esse succedono presso a poco sempre nello s f esso modo — chi sono coloro che attac- cano, chi sono quei che si difendono ? Ecco quel che dovrebbero pur dirci i poveri imbecilli che credono ancora alla difesa nazionale. Durante la guerra nel Transwaal tutti i gior- nali scrivevano che i boeri erano gli eroici com- battenti pel diritto. Nulla di più sciocco. E fra coloro che diffondevano tali menzogne molti e- rano in malafede. Ma sapevano che con simili menzogne, si mantiene la religione del macello. Ed essi erano più o meno pagati per questo. In realtà, i soldati di Kruger non erano più simpatici di quei di Chamberlain, perchè Kruger non era più obbligato ad accettar la guerra che Chamberlain a provocarla. Se i Boeri sono oggi schiacciati e soffrono mille disgrazie, gli è per- chè V hanno voluto. Come tutti coloro i quali permettono ai loro governanti di esporre senza ragione il loro paese al saccheggio e alla rovina, non furone uomini coraggiosi, ma delinquenti e vili. La loro scusa — come la nostra nel 1870 — è ch'essi non sapevano quello che facevano. Le pretese degl' inglesi - causa della guerra - non compromettevano in nulla le ricchezze del — 27 — paese nel suo complesso, ne il benessere e la li- bertà degli abitanti. Il dovere dei governanti boeri era dunque quello di fare tutte le conces- sioni volute per evitare la guerra, e il dovere del popolo boero quello di esigere che le con- cessioni fossero fatte. Indubbiamente, vi erano in questa guerra, come in tutte le guerre, degli in- teressi in giuoco, degli interessi coi quali i po- poli non sono solidali e coi quali nessun uomo onesto può essere solidale. Si vide molto bene ciò, non appena si trattò di far saltare in aria le miniere d' oro. Gli uomini del popolo, gì' ingenui, coloro che si battevano perchè si erano lasciati persuadere che difendevano la loro libertà e il loro benessere, tutti costoro trovarono questo modo di resistenza naturalissimo. Ma furono i governanti, i ricchi, che vi si opposero, naturalmente perchè speravano di trarre dalle mine un maggiore pro- fitto dopo la guerra e perchè non facevano la guerra per altro scopo. Intanto però, mentre que- ste mine, proprietà sacrosanta dei grossi azionisti inglesi e boeri, erano rispettate religiosamente, non si trovava nulla a ridire che ogni giorno i beni dei piccoli campagnuoli boeri fossero esposti al brigantaggio delle truppe inglesi. Ci si venga poi a dire che il popolo boero era un popolo libero e fiero che si difendeva ! Ev- via, dunque ! Era un popolo di schiavi che di- fendeva T oro dei suoi padroni. E' col rifiutarsi di difendersi contro gl'inglesi che i Boeri si sa- rebbero realmente difesi. La loro difesa era un suicidio. Ora, come un uomo ha torto di suici- darsi per miseria e deve, piuttosto, rubare ciò che gli necessita, così un popolo ha torto di suicidarsi — 28 — per il piacere di coloro che lo sfruttano e lo go- vernano. Ohe tu consideri la guerra franco-tedesca o quella dei Boeri cogl' inglesi, — duo guerre ben diverse, nondimeno — non si tratta mai, tu lo ve li, di una nazione realmente attaccata da un'al- tra nazione e costretta da questa a difendersi, ma come lo dicevo poco fa, di un attentato combi- nato fra due "governanti, di un attentato volon- tario da una parte e dall' altra, di un' aggressione reciproca. Questa famosa formula La Difesa Na- zionale, questa formula di cui i nostri padroni si servono così bene e dalla quale tanti . ciocchi si lasciano ancora accalappiare, contiene dunque due menzogne enormi; una per ogni parola. In primo luogo non vi ha difesa nazionale, perchè non è difendere una nazione il difendere gl'interessi 'li alcuni membri della nazione. Secondariamente, non vi ha punto difesa, per- chè la prima condizione per avere il diritto di difendersi è quella di essere attaccati. Ora non e' è oggi nazione realmente costretta a resistere, colle armi alla mano, a una vera aggressione. Non e' è guerra che non possa essere evitata da una concessione senza importanza per la prospe- rità reale del paese. Tuttavia, se la guerra scoppia? mi dirai tu. Ma ciò dipenle appunto da noi; ed essa non scoppierà se noi sapremo agire. Sono i dirigenti che ci rappresentano la guerra come una fatalità contro cui nessuno può nulla. E noi continuiamo a ripetere docilmente: « E' la guerra, non ci si può nulla», e cilascieremo condurre allo scannatoio come bestie rassegnate. Eppure la guerra non si — 29 — fa da sola. Ogni volta che si prepara il malau- gurato colpo, significa che alcuni lo vogliono e che la maggior parte lascia fare. Non vi saranno più guerre quando noi non vorremo più che ve ne siano. E il mezzo migliore per finirla colle guerre è precisamente quello di lavorare subito e senza scrupoli alla soppressione dell' esercito. E se la guerra scoppia, nonostante i nostri sforzi, e se, per mancanza d' organizzazione mi- litare, noi saremo battuti, tanto peggio o tanto meglio, come tu vorrai, imperocché ciò non ha la menoma importanza. Senza dubbio ci si mette avanti la sconfìtta come uno spettro terribile, per spaventarci. Ma la sconfitta nazionale come la di- fesa nazionale è una parola vuota di senso. Basta riflettere un poco per comprenderlo. La sconfitta può forse aggiungere qualcosa alle miserie e alla vergogna della guerra? Che ci è costata la nostra sconfitta del '70? Alcuni mi- liardi e un poco di territorio. Forse queste per- dite, le nostre perdite, come dicono i nostri pala- dini della rivincita, hanno molto modificato la prosperità generale del paese? No, certo. Procura invece di calcolare quanto ci sia costata, in ric- chezze di ogni specie, la guerra stessa. Non è la sconfitta che bisogna temere, ma la guerra. Non è della sconfitta che bisogne., arros- sire, ma della guerra. E vai meglio rischiare una sconfitta per impedire la guerra, che esporci alla guerra per impedire la sconfitta. VI. Eccomi giunto alla conclusione di ciò che vo- levo dirti. Ti ho mostrato il nulla e la menzogna del pa- — 30 — triottismo ufficiale. T'ho dimostrato in qual modo la pace armata, che non è che una forma di guerra, ci opprima e ci affami; in qual modo la caserma ci deformi moralmente e fisicamente, ci abbruti- sca e ci corrompa. Ti ho mostrato come il militarismo non sia soltanto un 7 istituzione avvilente e costosa per un paese nel suo insieme, ma come, armando i proletari contro se stessi ; equivalga pel popolo a un vero suicidio. T'ho dimostrato come gì' interessi in giuoco nei conflitti internazionali non siano mai quelli dei laboratori. T'ho dimostrato infine che la credenza nella fatalità della guerra e nella necessità della difesa nazionale, nonché la paura della sconfitta, non sono che pregiudizi mantenuti dai nostri padroni a mezzo di sofismi grossolani. Rimane ora da concludere, e la conclusione tu l' indovini. Bisogna finirla con questa schiavitù che fa del popolano 1' assassino dei suoi fratelli e lo strumento docile delle ambizioni, degli appe titi e delle vendette dei suoi padroni. Bisogna finirla con questa commedia infame, che, sotto il nome di patriottismo, si rappresenta da tanti anni alle nostre spalle. Bisogna finirla colla guer- ra, con questa partita a scacchi che i potenti giuo- cano servendosi degli umili e come pedine e come posta. Bisogna finirla con la caserma, dove, per la difesa dei ricchi, si abbrutiscono i figli dei poveri. Non avvi più, oggi, la menoma esitazione possibile, il menomo dubbio, il menomo scrupolo da conservare. Saremmo gli ultimi degli imbe- cilli e dei vili se non volessimo, con tutte le -- 31 — nostre forze, liberarci da questa odiosa legge di sangue, in forza della quale siamo stati sinora curvati, vinti e schiacciati. Rimane da sapere in qual maniera potremo riuscirci. Certuni ci. consigliano di aspettare, ci parlano di leggi e di riforme che non mancheranno di attuarsi un giorno o 1' altro, purché rimaniamo tranquilli. Se contiamo su ciò, possiamo aspet- tare un bel pezzo. Ti ho infatti spiegato come i padroni del mondo, i ricchi, i potenti, coloro che fanno e disfanno le leggi, coloro che con un tratto di penna potrebbero metter fine ai delitti, alle miserie, alle vergogne della guerra e della caserma, non lo faranno mai spontaneamente, perchè son essi gli autori di questi delitti, di queste vergogne, eli queste miserie, e ne appro- fittano e ci vivono sopra. Per emanciparci dal servaggio militare, noi non dobbiamo fare assegnamento che su noi stessi e dobbiamo ricorrere ad un solo mezzo; Ri- fiutare di sottometterci ad esso. Fintantoché noi ci lasceremo condurre al ma- cello come rocili montoni, vi saranno dei ma- celli e dei macellai che acquisteranno denari e gloria colla nostra pelle. Fintantoché noi accet- teremo di abitare la caserma, di portare la livrea e le armi del soldato, vi saranno reggimenti e caserme. Ecco quel che bisogna capire, Giacomo ; ecco il punto sul quale non bisogna transigere per nessuna teoria, per nessuna promessa, per nessuna smorfia. Noi non la faremo finita, con V odioso servaggio in cui il militarismo ci mantiene, se — 32 — non il giorno in cui saremo decisi alla ribellione, pronti a rifiutarci di obbedire; il giorno in cui, invece di lasciare i nostri parenti, i nostri amici, il nostro lavoro per andare a scontare in una ca- serma i nostri anni di bagno militare, noi ri- marremo tranquillamente a casa. Tu mi dirai che non è facile ribellarsi contro l' esercito moderno, cioè contro la più terribile organizzazione della forza brutale che siasi mai vista. Indubbiamente, non e' è un' altra istitu- zione difesa come quella da un codice di vio- lenza e di morte, da un codice che punisce colle pene più barbare la menoma parola, il menomo gesto. E si capisce bene, non fosse altro che dalle precauzioni prese per conservarlo intatto, come 1' esercito sia la base indispensabile della società borghese. Ma a che cosa varrà la ferocia dei Co- dici, se non si oserà applicarli? E non si oserà, non si potrà applicare la legge ai renitenti, quando questi saranno abbastanza numerosi, risoluti e concordi da imporsi ai governanti. In questo come in ogni cosa è l'unione, è l'in- tesa che può rendere forti e vittoriosi ! In Russia, in Austria, in Olanda si sono già manifestati dei casi di rifiuto di servire sotto le armi. Uomini di tutte le condizioni sociali, e fra essi alcuni proletari, sono già insorti contro l'o- dioso servaggio e non hanno voluto indossare la casacca del soldato. E quando furono messe delle armi tra le loro mani, le lasciarono cadere per terra. Alcuni anni fa, V olandese Van der Veer ri- spose all' ordine di leva con una lettera che fece chiasso, nella quale dichiarava ai suoi capi, che — 33 — la sua coscienza gli vietava d' imparare ad ucci- dere i suoi fratelli stranieri, come pure di difen- dere V ordine costituito. Ma per osare in tal modo sfidare da soli il mostro militarista, per osare tener testa a questa terribile potenza, senza baciare se si è seguiti o no dagli altri occorre un coraggio che non tutti hanno. Tali atti rimangono quindi necessaria- mente rarissimi. E, s'intende che i governi cercano e talvolta riescono a tenerli secreti, specialmente quando ne sono autori degli oscuri proletari. Noi non ammireremo mai abbastanza coloro che compiono tali atti. Sono veri eroi, che nn gior- no saranno onorati come si onorano coloro che per i primi osarono insorgere contro la tirannia dei preti. Ma appunto perchè occorre per simili azioni un coraggio sovrumano, molti presumono troppo della loro forza e soccombono dopo una più o meno lunga resistenza. Senti quel che accadde circa tre anni fa in Olanda, senza che la stampa degli altri paesi ne facesse parola. Cinque coscritti di differenti città eransi rifiutati di estrarre il numero, e si promet- tevano di persistere nel loro rifiuto di andare sotto le armi. Tre di essi cedettero al loro arrivo al reggimento. Gli altri però tennero duro e fu- rono imprigionati. Uno eli essi piegò a sua volta alle esortazioni dei capi e della sua famiglia. Ma 1' ultimo resistè e si arrese solo poco tempo fa, dopo avere passato più di due anni in prigione. E il disgraziato era mezzo pazzo quando si de- cise a chieder grazia. Ma se ciò che questi martiri e questi eroi del- l' anoimilitarismo hanno osato di fare isolatamente, — 34 — individualmente, noi altri invece lo facessimo collettivamente, unendoci, aggruppandoci, soste- nendoci V un V altro, credi tu che non sarebbe molto più facile e molto più efficace ? Supponi che la centesima parte soltanto degli uomini chiamati ogni anno sotto le armi rifiu- tassero un bel giorno di raggiungere i reggi- menti? Che cosa si potrebbe fare contro di loro? Assolutamente nulla. In primo luogo perchè, dinanzi a un atto di tanta importanza, i gover- nanti sarebbero spaventati e non saprebbero dove dar di testa. (Lo si è veduto abbastanza dal loro atteggiamento di fronte ai pochi rifiuti indivi- duali manifestatisi smora). In seguito perchè 1' esempio di queste migliaia di renitenti ne tra- scinerebbe immediatamente delle migliaia d'altri. Tu sai bene che i disgraziati coscritti, i quali ogni anno partono per il loro triste destino, non do- manderebbero di meglio, malgrado tutte le stu- pide fanfaronate patriottiche, che di restarsene a casa loro. Per decidere tutti questi dubbiosi, non occorrerebbe che una avanguardia di audaci. E' dunque al rifiuto collettivo di prestar ser- vizio, detto altrimenti lo sciopero dei soldati, che noi altri proletari" dobbiamo pensare. E dobbiamo organizzarci per conseguire questo risultato. Tale compito non è al disopra delle nostre forze. Noi siamo pure arrivati ad aggrupparci per la difesa dei nostri interessi economici. Tan- toché oggigiorno bastano poche ore perchè, da un capo all' altro di una nazione, migliaia di la- voratori di ogni mestiere sorgano in piedi, pronti alla lotta contro i padroni. Perchè non dovremmo riuscire ad aggrupparci ed organizzarci in modo — 35 — altrettanto efficace per difenderci contro quest* al- tra oppressione che si chiama il servizio militare? Tanto più che questa oppressione si confonde con quella economica; poiché, come te 1' ho spiegato più sopra, essa ridonda a profitto dei nostri sfrut- tatori. ■ Si, Giacomo, bisogna assolutamente che orga- nizziamo lo sciopero militare, come già organiz- zammo lo sciopero economico, perchè il primo non è che il complemento indispensabile del secondo. E non abbiamo appunto, per facilitarci 1' opera, i nostri sindacati professionali, le nostre unioni di* mestiere, che possono diventare tanti nuclei di resistenza contro il militarismo, tanti focolari eli agitazione contro i delitti della guerra? Se ognuno di coloro che fanno parte di questi gruppi di- ventasse cosciente del suo dovere di fronte al mi- litarismo, credi tu che noi non saremmo presto i più forti e in grado di agire a nostro modo ? E' a questo scopo che bisogna tendere. Ma per raggiungerlo, è necessaria una propaganda in- cessante. E questo compito spelta ai più intelli- genti, ai più devoti, ai più coscienti fra i lavo- ratori. Io spero che, se tu hai ben capito tutto ciò che ti ho detto, vorrai essere sin da oggi, nel tuo am- biente, nel tuo cerchio di azione, uno dei colla- boratori di questa grande opera. Il tuo vecchio compagno diarie»- Albert # L' AClfAtORE ;,».■' Periodico Settimanale d' azione rivoluzionaria Bologna - Casella poetale, 1 - -Bologna ABBONAHENTI - AnilO L. 4,— ~-v Sem. » 2,— Libreria della Scuola /*\oderi>a v è la base di un' opera dVeducazioné libertaria. Per ordinazioni d'opuscoli, schiarimenti su V istituzione, ballettino ecc. rivol- si aìla Casella postale 209 -Bologna. IL PENSIERO RIVISTA QUINDICINALE LIBERTARIA Ctexrt* SMS 11 fascicolo A3B0NAKBNTI 7 Anno L. 5, — Sem. r > 2,50 In preparazione importantissime pubbli* cozzoni di propaganda.